Che cos’è la Psicoanalisi Relazionale?

PSICOANALISI RELAZIONALE:
nota introduttiva

A cura di A. Boschiroli e D. Paradiso

La nascita della Psicoanalisi Relazionale

Un modo interessante per descrivere la nascita della psicoanalisi relazionale può essere quello di pensare che alcuni psicoanalisti, sopratutto americani, abbiano sentito, verso l’inizio degli anni ’80, la necessità di gettare una nuova luce sulle motivazioni che fanno soffrire, amare e odiare le persone, sui diversi modi in cui la vita affettiva può essere vissuta, compresi i sintomi e le crisi psicologiche che possiamo incontrare. Non erano soddisfatti della teoria classica, e i tentativi di riformarla, in tutto il mondo, apparivano frammentari e isolati, eppure urgenti e necessari.

Come spesso accade nella scienza, era arrivato il momento per un cambiamento paradigmatico radicale. La psicoanalisi stava per essere rovesciata e scossa dalle fondamenta. La teoria motivazionale principale basata sulle pulsioni libidiche ed aggressive, con la quale si spiegava la natura più profonda dell’uomo, stava per essere abbandonata in favore di una comprensione relazionale dello sviluppo, compreso quello affettivo e sessuale.

Il mito della mente isolata stava per essere infranto in favore di un’ottica sistemica e costruttivista. L’inconscio rimosso, su cui si fonda la psicopatologia freudiana, veniva affiancato dalla osservazione di diversi e alternativi processi inconsci. Gli analisti cominciarono ad interagire con i loro pazienti in modi che prima non si pensava potessero essere terapeutici. Tutto questo funzionava, in modo coerente e per certi versi sorprendente.

Dalla pulsione all’affetto nei Sistemi Motivazionali

Attraverso una riflessione ampia sulle esperienze cliniche, e sui modelli teorici, che nella psicoanalisi si sono succeduti, e riprendendo spunti da campi di indagine intersecanti la teoria analitica, come l’infant research e le neuroscienze, si è andato costruendo un approccio che ha portato al centro dello sviluppo umano la relazione, piuttosto che gli istinti e le pulsioni.

A cominciare dai primissimi rapporti di attaccamento infantile, per relazione si intende prevalentemente un rapporto tra persone reali, sufficientemente intricate, che interagiscono nel loro contesto esistenziale, non solo quindi le fantasie e le rappresentazioni interne. Inoltre la ricerca della relazione viene definita come l’attività fondamentale della vita fisica e mentale, sia corporea sia psichica.

Da un punto di vista riduzionista ogni motivazione umana potrebbe essere ricondotta ai bisogni biologici primari, al funzionamento del nostro cervello individuale, oppure all’espressione di differenze genetiche. Se noi abbandoniamo queste semplificazioni per abbracciare una prospettiva della complessità, in cui variabili diverse (sociali, psicologiche, biologiche, evolutive) si influenzano in modo imprevedibile, dobbiamo accettare il fatto che facciamo parte di un sistema naturale, e perciò, siamo tutti inevitabilmente coinvolti, anche quando ci isoliamo.

Affettivamente e cognitivamente cerchiamo di costruire significati personali che sono espressione del passato di ciascuno, ma anche del presente e del futuro, per quanto immaginabile, desiderabile o spaventoso. Quest’attività di costruzione di modelli mentali modifica il nostro corpo, la nostra mente e il nostro ambiente. Dal punto di vista interpersonale ci muoviamo secondo sistemi motivazionali che attivano risposte complementari, non contengono cioè solo una previsione delle risposte, ma stimolano e attivano quelle risposte negli altri. Le emozioni sono la benzina di questi sistemi, che possono essere iperattivati o disattivati in modo disfunzionale.

Intersoggettività e inconscio relazionale

L’inconscio, secondo la psicoanalisi relazionale, è essenzialmente rivolto alla comprensione della realtà. Alla realtà intesa però in senso complesso, cioè anche a quelle parti della realtà che spesso non sono evidenti, ma altrettanto spesso risultano determinanti, poiché come si sa, la realtà qualche volta è oscura e fa male. Perciò, inconsciamente gestiamo la quantità di realtà che ci è tollerabile, non di più. Talvolta il nostro sviluppo ci porta e escludere o dissociare difensivamente quello che non riusciamo ad accettare o addirittura ad anticipare quello temiamo possa accadere nelle nostre vite. Ovviamente paghiamo un prezzo per evitare di incontrare le nostre paure più profonde.

Ci muoviamo come persone reali in uno spazio di relazione e di affetti insieme ad altre persone, e attraverso vissuti, pensieri, emozioni, sentimenti, fantasie, aspettative e comportamenti, influenziamo quello che accade intorno a noi e dentro di noi, cercando di organizzare questa soggettività psicologica in una ricorsività ineludibile e inevitabile.

La nostra sofferenza è sempre in una certa misura negoziata, a livello inconscio, con l’ambiente che ci circonda. Analizzare l’inconscio, in una prospettiva psicoanalitica contemporanea, non significa solo esaminarne i processi di simbolizzazione, ma anche accorgersi della continua messa in atto dei limiti della nostra esperienza cosciente.

Trauma, Dissociazione e Attaccamento

Ci muoviamo sempre più spesso su un terreno limitato, ma che conosciamo, quanto più ci sentiamo spaventati e soli. In sostanza, la psicoanalisi contemporanea ci dice che senza una sicurezza relazionale, che ci permette di sperimentare delle soluzioni creative, non si sviluppa né la mente, né il corpo. Si può così facilmente capire che cosa serve per curare, far ripartire, e far crescere la nostra mente: essenzialmente una relazione d’attaccamento adeguata, in cui gli aspetti problematici e conflittuali possano essere vissuti e rielaborati.

Ma cosa accade quando le relazioni di attaccamento non sono adeguate o sono gravemente traumatiche? Può accadere che la mente non venga formata in alcune sue funzioni o capacità, questo tipo di difficoltà determina una costante insicurezza, agitazione e confusione. Altre volte accade invece che una persona rimanga bloccata nella ricerca di soluzioni a problemi esistenziali incomprensibili o soverchianti e, per mezzo di manovre diversive inconsce, continui ad evitare situazioni che anche solo per associazione si avvicinano a queste aree di sofferenza. Quando questo accade le persone iniziano a muoversi lungo i confini della loro esperienza cosciente nel tentativo continuo di riprendere lo sviluppo interrotto ed elaborare la dissociazione traumatica. Questo tendenza è tanto più grande e disturbante quanto più ampie e sostanziali sono le nostre lacune.

In una certa misura, tutti noi cerchiamo di affrontare i limiti della nostra esperienza e, nello stesso tempo, di non esserne sopraffatti. In questo senso, c’è una differenza solo quantitativa tra salute, benessere e malattia o malessere, anche se appare evidente che nei casi più gravi l’esperienza soggettiva è molto più limitata e gran parte delle occasioni per crescere vengono evitate. Inoltre, col tempo è possibile sviluppare delle differenze qualitative, ovvero deformanti ed estranee alla persona, che sostituiscono o alterano la percezione di sé e del mondo. Ogni soggettività è unica, ma proprio nei casi di maggior sofferenza mentale la visione di sé e degli altri appare maggiormente stereotipata, rigida e povera.

Relazione Terapeutica

Da tutto questo lavoro di revisione su cosa siano le relazioni, ne consegue una diversa concezione della relazione terapeutica, più democratica, aperta e dialogica. Una relazione che è lo strumento di cura principale. Per questa ragione, la relazione analitica deve essere guidata da principi terapeutici fondamentali, continuamente adattati al caso singolo, piuttosto che invece essere utilizzata come una generica “buona relazione”, solo secondaria all’applicazione di una tecnica terapeutica standard, manualizzata, per disturbi aspecifici e generali.

In una relazione che di fatto viene concepita solo come strumentale all’applicazione di una tecnica terapeutica, proprio perché viene data molta più attenzione all’esecuzione di un programma per la riduzione dei sintomi generali, piuttosto che alla relazione col paziente, diventa molto più difficile indentificare e lavorare sugli elementi soggettivi e intersoggettivi bloccati. Se invece, come abbiamo capito è all’interno di una relazione individualizzata che la mente si ristruttura, allora è necessario diventare specialisti nell’analisi e nella costruzione dell’intersoggettività, cioè dei meccanismi interpersonali di auto-regolazione, che si mettono in gioco attraverso un rapporto stimolante e supportivo, espressamente adattato nel tempo.

Gli analisti relazionali non solo si impegnano nella ricostruzione dell’esperienza delle persone, in una dimensione narrativa, ma cercano di rendere attivi i collegamenti tra la conoscenza di sé e queste esperienze. Anche se ovviamente il contesto evolutivo gioca un ruolo centrale nella comprensione delle persone, questa comprensione può essere ugualmente raggiunta attraverso l’analisi di cosa stia succedendo nelle relazioni presenti, sopratutto a livello implicito e non verbale.

La psicoanalisi relazionale propone di pensare l’incontro terapeutico come un spazio e un processo psicologico tra persone che cambiano o provano a cambiare stando insieme, influenzandosi a più livelli, in una necessaria non neutralità e asimmetria dell’incontro, ma che insieme percepiscono, sentono, pensano e interagiscono costruendo nuove esperienze di sé.

Condividere empaticamente e autenticamente il luogo e il tempo della seduta vuole dire, da questa prospettiva, condividere un contesto psicologico intersoggettivo che attiva e disattiva aspetti della nostra personalità, che rinforza aspetti importanti del nostro modo di stare al mondo, sia nel rapporto con l’altro, sia nel rapporto con noi stessi.

La complessità del lavoro dello psicoanalista relazionale è quella di muoversi con apparente naturalezza su scenari molto diversi, talvolta in un campo confusionale, spesso fragile e altamente reattivo, altre volte all’opposto nel deserto. Non è un lavoro facile. Perciò la formazione dell’analista in questo caso è molto lunga e costosa non solo in termini economici, continuamente soggetta a revisioni e confronti, crisi e maturazioni, che inevitabilmente segnano l’esistenza di chi pratica questo mestiere.

Lo stile personale dell’analista relazionale è frutto di un complesso equilibrio di fattori caratteriali, identificazioni analitiche, esperienze terapeutiche e risposte al paziente presente nella stanza, che devono essere sia spontanee, sia adeguate. Durante la psicoterapia l’impegno di entrambi, paziente e analista, è quello di costruire uno scambio nel quale incontrare, riconoscere e rielaborare i significati personali che possono sostenere il cambiamento.